test DNA battuto

3 Omicidi che hanno battuto la prova del DNA

Clamoroso è stato il caso O.J. Simpson, dove gli avvocati difensori trovarono una falla nella catena di custodia delle prove e salvarono dalla galera il loro cliente. In Italia tutti conoscono il caso di Amanda Knox e l’omicidio di Via Poma, dove furono commessi molti errori nei sopralluoghi sulla scena del crimine tali da compromettere tutte le indagini successive.

#1 – Il processo del secolo: O.J Simpson

Il caso più eclatante che ha dimostrato al mondo intero che il test del DNA può essere un arma a doppio taglio se non usata correttamente. Il 12/06/1994 a Los Angeles, vengono ritrovati i corpi senza vita di Nicole Brown Simpson e Ronald Lyle Goldman all’interno della villa di lei. Il luogo del delitto era pieno di DNA riconducibile al famoso giocatore di football Orenthal Jones Simpson.

La difesa di Simpson riuscì a smontare l’accusa poiché i periti forensi incaricati di effettuare i sopralluoghi e le analisi del DNA non rispettarono i protocolli standard internazionali per il collezionamento dei reperti e catena di custodia. Oltre a ciò durante il dibattimento i periti utilizzarono un linguaggio troppo specifico e molto difficile da comprendere dai membri della giuria popolare che, probabilmente mai avevano avuto a che fare con argomenti di genetica forense. O.J. Simpson nonostante le numerose prove che testimoniavano la sua presenza sulla scena del crimine, fu dichiarato innocente. In interviste successive al processo, gli avvocati dichiararono: “Noi della difesa non abbiamo vinto, è stata l’accusa che ha perso miseramente”.

#2 – Amanda Knox

Il più grande processo mediatico della storia della giustizia italiana. Otto anni di vicende giudiziarie concluse con l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, “per non aver commesso il fatto”. Ad oggi l’unico condannato per l’omicidio di Meredith Kercher risulta essere Rudy Guede per concorso in omicidio. In questo caso inizialmente il test del DNA è servito per condannare i due ragazzi per l’omicidio della Kercher. In appello però viene fuori che i risultati delle analisi ottenuti erano falsati da contaminazioni esterne e da un errata interpretazione dei dati da parte dei periti forensi. Oltre a ciò verranno mostrati i video dei sopralluoghi da parte del personale della scientifica di Perugia, che non seguì minimamente i protocolli standard per “congelare” la scena del crimine anzi, commise molti grossolani errori tali da compromettere tutte le prove raccolte. Ciò dimostra che se sulla scena del crimine interviene personale non qualificato si può compromettere un’intera indagine, lasciando a piede libero potenziali assassini.

#3 – Omicidio di via Poma

L’assassinio di Simonetta Cesaroni a Roma rimane un mistero tutt’ora irrisolto. Dal 1990, anno in cui fu commesso l’omicidio, ad oggi sono state indagate solamente tre persone, le quali verranno poi completamente assolte, nonostante sia stato utilizzato il test del DNA come mezzo di prova. Anche in questo caso le problematiche riguardano l’imperizia delle forze dell’ordine dell’epoca (dovuta purtroppo alla mancanza di una formazione adeguata) nel repertamento delle tracce sulla scena del crimine e dalla trasformazione delle indagini in un processo mediatico che ha messo pressione all’ambiente per trovare “un” colpevole invece di trovare “il” colpevole. Rimangono molti dubbi su tale omicidio, primo fra tutti il perché l’agenda di Pietro Vanacore, primo indagato per l’assassinio e poi assolto, sia stata ritrovata tra gli effetti personali di Simonetta e nessuno abbia indagato su tale circostanza all’epoca dei fatti.

Il DNA non mente mai

Quindi si la prova del DNA è una bufala e non serve a nulla se chi la usa in tribunale non è in grado di spiegarne in maniera semplice ed efficace i risultati e soprattutto se le prove raccolte non seguono tutti i protocolli standard internazionali che ne garantiscono l’assenza di contaminazione.

Diventa fondamentale la figura di un perito forense in grado di controllare tutti questi aspetti e sia in grado soprattutto di interpretare al meglio i risultati ottenuti in laboratorio, per evitare che in dibattimento un avvocato o un perito forense chiamato a testimoniare possano screditare ciò su cui si è lavorato.