storia test del dna

La storia del test del DNA

“In una scena del crimine la prova scientifica non può essere sbagliata, non può giurare il falso e non può essere assente. Solo il fallimento dell’uomo nel cercarla, studiarla e capirla può diminuire il suo valore.”

[Paul Kirk]

La scoperta dell’acido desossiribonucleico

Se oggi è possibile risolvere spinosi casi di omicidio, dare una risposta definitiva nei test di paternità e prevenire alcune malattie genetiche dobbiamo ringraziare la scoperta dell’acido desossiribonucleico, per gli amici DNA. Il DNA è la molecola alla base della vita che contiene tutte le informazioni genetiche per l’esistenza di un organismo. La sua struttura venne scoperta nel 1953 da Watson e Crick, entrambi divenuti poi premi Nobel per la medicina. Nel mezzo secolo successivo alla scoperta di questa molecola ci fu un esponenziale progresso scientifico in ambito medico-biologico tale che oggi ci è possibile fare un test del DNA sicuro al 100% con un po’ di saliva raccolta su di un cotton fioc.

Il principio alla base dei Test del DNA

Per i test del DNA è di fondamentale importanza avere un parametro in grado di distinguere un essere umano da un altro. In particolare il marcatore deve rispettare tre requisiti: invariabile nel tempo, misurabile e discriminare gli individui gli uni dagli altri.

In passato una persona poteva essere identificata in base ai suoi tatuaggi, impronte digitali o gruppi sanguigni. Tali metodiche seppur molto selettive, non potevano discriminare un individuo nella popolazione con assoluta certezza.

Storia della prova del DNA

Il padre fondatore della prova del DNA è l’inglese Alec Jeffreys che nel 1985 descrive per la prima volta l’impronta genetica attraverso la tecnica degli RFLP (gli antenati dei moderni marcatori STR o SNPs). Dopo un solo anno da questa scoperta in Inghilterra viene usata per la prima volta la prova del DNA per scagionare un innocente accusato di stupro e duplice omicidio di due ragazze. Con le analisi del DNA è stato possibile dimostrare che il presunto colpevole non era presente sulla scena del crimine e fu indotto dalla pressione delle forze dell’ordine a confessare il delitto.

Nel 1987 fu usata ufficialmente per la prima volta in Italia la prova del DNA per l’omicidio di Lidia Macchi. In questo caso però le forze dell’ordine spedirono i campioni ad un laboratorio inglese in quanto l’Italia era ancora sprovvista di tale tecnologia. Ma le cose non sono sempre andate rose e fiori, relativamente parlando per i buoni.

Casi controversi di test del DNA in tribunale

Il caso O.J.Simpson del 1995 fu eclatante in tal senso in quanto nonostante la prova del DNA avesse indicato O.J. come il colpevole dell’omicidio egli riuscì a farla franca.

L’assassino, all’epoca famosissimo e ricchissimo giocatore di football, assunse la migliore squadra di avvocati su suolo americano che riuscì a convincere la giuria dell’innocenza del loro assistito scovando una falla nella catena di custodia dei campioni, sfruttando l’inesperienza a processo dei periti biologi chiamati a testimoniare ed infine facendo passare il processo come un atto di puro razzismo e caccia alle streghe.

Tale episodio però servì per regolamentare le operazioni di raccolta e conservazione del DNA (QAS – Garanzia di qualità standard) e formare la figura di un biologo specialista di questa scienza, il biologo forense.

Il futuro dei test del DNA

Un passo importante per identificare in maniera tempestiva un criminale è stata sicuramente l’introduzione della banca dati del DNA avvenuta negli USA nel 1996. Con questo strumento sono stati schedati geneticamente tutti coloro che si sono macchiati di reato su suolo americano, dal semplice furto all’omicidio volontario. In questo modo ogni volta che era presente una scena del crimine, la scientifica poteva subito controllare se il DNA trovato appartenesse ad una persona con precedenti. In Italia tale strumento, purtroppo, è arrivato solo nel 2017.

A livello internazionale è ancora aperto il dibattito, etico soprattutto, se schedare o meno tutta la popolazione mondiale per avere una banca dati completa e poter quindi risolvere immediatamente un delitto. Chi dovrebbe gestire i nostri dati genetici? Potrebbero essere usati contro di noi? Verrebbero ceduti a multinazionali per fini di lucro? Questi sono i dubbi che le persone si pongono quando viene fatta loro una domanda diretta in merito.

Il paradosso si presenta quando ci rendiamo conto che ci sono persone pronte a regalare il proprio DNA, anzi a pagare per analizzarlo per sapere se il loro antenato era australiano o africano non sapendo che in realtà stanno cedendo i propri dati genetici alle multinazionali farmaceutiche che usano questo espediente dei “Test del DNA delle Origini” per ottenere informazioni che altrimenti gli costerebbero miliardi di euro.