Il colesterolo è una sostanza che viene assunta con la dieta, ma che è anche prodotta dall’organismo ed è necessaria per la vita in quanto è un componente delle membrane cellulari. Tuttavia, quando è presente in eccesso (ipercolesterolemia), può causare gravi problemi alla salute.
Cos’è e come si manifesta l’ipercolesterolemia familiare?
L’ipercolesterolemia familiare è una malattia ereditaria in cui la quantità di colesterolo nel sangue può essere notevolmente aumentata ed è dovuta ad alterazioni di un gene che contiene le informazioni per fabbricare una proteina nota con il nome di “recettore delle LDL” (Low Density Lipoproteins o “colesterolo cattivo”).
Questa proteina è in grado di captare le LDL del sangue e di farle entrare nella cellula, dove vengono scomposte. A causa di alcune mutazioni, il recettore è prodotto in quantità insufficiente oppure è del tutto assente, e questo fa sì che le LDL si accumulino nel sangue.
L’ipercolesterolemia familiare esiste in due forme: una meno grave (eterozigote, 1 caso ogni 500 individui circa) e una più grave (omozigote, 1 caso ogni 1.000.000 di individui). Questi dati rappresentano però una sottostima in quanto è convinzione che per scoprire questa anomalia occorra un test genetico quando un semplice consulto con un esperto in nutrizione potrebbe subito aiutare alla diagnosi e quindi aumentare drasticamente il numero di diagnosi.
Gli effetti potenzialmente fatali delle forme eterozigote e omozigote sono legati al conseguente aumento del colesterolo LDL plasmatico, la ritenzione di colesterolo da parte della parete arteriosa e la formazione di cellule schiumose all’interno delle arterie, condizione che tipicamente progredisce ad aterosclerosi occlusiva con angina pectoris o rottura della placca con conseguente infarto del miocardio o ictus.
La forma eterozigote è spesso asintomatica e viene diagnosticata solo in base ai livelli di colesterolo nel sangue; può tuttavia comportare un aumento del rischio di malattie cardiovascolari in età adulta. La forma omozigote, invece, è caratterizzata dall’insorgenza di malattie cardiovascolari anche in giovane età e dalla presenza di accumuli caratteristici di grasso come xantomi (noduli di colore giallastro sulle nocche delle mani e sul tendine di Achille), xantelasmi (placche giallastre sulle palpebre) e arco corneale (depositi di grasso intorno all’iride).
Quali sono le cause del colesterolo alto genetico?
Nella maggioranza dei casi, l’ipercolesterolemia familiare è causata da mutazioni a carico di alcuni geni codificanti per proteine coinvolte nel metabolismo delle LDL, quali quelle associate a perdita di funzione del gene LDLR, perdita di funzione del gene APOB (alterato dominio di legame dell’apolipoproteina B con il recettore LDL) o a guadagno di funzione nel gene PCSK9. Il meccanismo più comune (si conoscono più di 620 tipi di mutazione al mondo) che causa l’ipercolesterolemia è legato a una mutazione del gene LDLR che contiene le informazioni necessarie per produrre una proteina “recettore LDL”, presente nel fegato.
Contrariamente a quanto comunemente si pensa, il colesterolo che circola nel sangue non deriva tutto dall’alimentazione ma la maggior parte viene prodotta dal fegato, con lo scopo di garantire tutte le importantissime funzioni che il colesterolo svolge nel nostro organismo. In condizioni normali il recettore LDL funziona come un sensore che rileva la quantità di colesterolo nel sangue e ne fa produrre al fegato la quantità necessaria. Se questo sensore è alterato aumenterà la quantità di colesterolo nel sangue. Essendo una mutazione genetica fin dalla nascita, nelle persone con ipercolesterolemia familiare il colesterolo è molto alto fin dall’infanzia.
L’eccesso di colesterolo presente nel sangue si deposita nella parete dei vasi sanguigni e porta alla formazione di placche che restringono e induriscono la parete delle arterie. Le placche che si formano nelle arterie coronarie conducono all’infarto in età giovane-adulta con un rischio venti volte maggiore rispetto alla popolazione generale.
Trasmissione genetica dell’ipercolesterolemia familiare
Per quanto riguarda la trasmissione genetica sappiamo che gli eterozigoti hanno, per ogni gravidanza, un rischio del 50% di avere un figlio anch’esso eterozigote, indipendentemente dal sesso. Gli individui omozigoti possono nascere solo se entrambi i genitori sono eterozigoti. Una coppia di eterozigoti avrà il 25% di probabilità di avere un figlio affetto dalla forma omozigote; il 50% di probabilità di avere un figlio eterozigote e il 25% di averne uno sano.
Non esistono portatori sani per l’ipercolesterolemia familiare. È possibile però che alcuni eterozigoti non vengano diagnosticati in tempo, e possano così trasmettere la malattia ai figli.
Quali sono i sintomi dall’ipercolesterolemia familiare?
In entrambe le forme di ipercolesterolemia familiare, le LDL che si accumulano nel sangue si depositano sulle pareti interne delle arterie, dando inizio alla formazione di placche dette ateromi. La presenza di numerosi ateromi rende difficile la circolazione del sangue e può essere causa di problemi cardiocircolatori, con rischio di infarto che varia da persona a persona, ma che comunque dipende dal valore della colesterolemia.
Nei soggetti omozigoti, l’ipercolesterolemia è molto grave con valori di colesterolo circa 4-5 volte il normale (550 – 1000 mg/dl) e formazione di xantomi (depositi di colesterolo), che però sono visibili a livello cutaneo e sono riscontrabili entro i primi 4 anni di vita. I problemi cardiovascolari iniziano già nell’infanzia, e in assenza di trattamento, spesso determinano la morte per infarto prima dei 20 anni. Qualche volta però, per ragioni non del tutto chiarite, il colesterolo non si deposita nei tessuti ma si accumula solo nelle arterie e il primo sintomo può essere un infarto, che può causare anche la morte in età pediatrica.
I bambini affetti dalla forma di ipercolesterolemia familiare in eterozigosi non hanno invece alcun sintomo. Non è un caso che in Italia venga diagnosticato meno dell’1% dei pazienti con la forma eterozigote. I valori di colesterolo nel sangue sono in genere 2-3 volte il valore normale (350-550 mg/dl). Questi soggetti sono ad alto rischio di andare incontro assai precocemente, tra i 30 e i 40 anni, a malattie cardiovascolari come l’infarto o a ictus cerebrale.
Altri sintomi spesso presenti negli eterozigoti sono gli xantelasmi (accumuli di grasso che si formano all’esterno dell’occhio) e l’arco corneale (piccola lunetta che si forma all’interno dell’occhio, alla periferia della cornea).
Quali le terapie attualmente disponibili per ridurre il colesterolo?
La terapia si basa sull’associazione di una dieta povera di colesterolo e di acidi grassi con il trattamento farmacologico a base di statine o resine a scambio ionico, oppure la rimozione delle LDL in eccesso dal sangue mediante aferesi (cioè lavaggio del sangue con assorbimento specifico del colesterolo LDL, come avviene nella dialisi).
L’ipercolesterolemia familiare omozigote fino a poco tempo fa si considerava una patologia incurabile ma negli ultimi anni sono state approvate nuove terapie basate sul silenziamento genico di ApoB (mipomersen capace di degradare le apoproteine B100 che prendono parte alla formazione delle LDL, riducendo così il numero di queste ultime ) o sul blocco dell’enzima MTP (Lomitapide che porta a far scendere marcatamente i livelli plasmatici di colesterolo LDL) ed anche evolocuman, un anticorpo monoclonale diretto contro PCSK9. Attualmente, sono in fase di studio ulteriori strategie terapeutiche, come la RNA interference (RNAi), la terapia genica (editing genomico), l’utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC).
Nel caso della forma eterozigote, il trattamento mira a controllare i livelli di LDL-colesterolo in modo da mantenerli sotto determinate soglie. A seconda di quanto è necessario ridurre questi livelli, si parte dal trattamento con statine a dosaggio e potenza crescente, per passare eventualmente alla terapia combinata con statine ed ezetimibe, per arrivare quando necessario all’aggiunta di anticorpi monoclonali anti-PCSK9 oltre alla massima terapia con statine o di combinazione tollerata. La terapia, in questo caso, prevede l’abitudine a una dieta sana, con pochi grassi saturi, e una regolare attività fisica, in associazione a farmaci che abbassano il colesterolo, di regola le statine.
Per trattare l’ipercolesterolemia familiare, si può far uso di farmaci di nuova generazione ma si deve contemporaneamente agire anche con una opportuna modificazione dello stile di vita.
Di recente approvazione c’è anche l’acido bempedoico, un farmaco che agisce nel fegato inibendo l’enzima ATP citrato liasi, una molecola coinvolta nel processo di sintesi endogena del colesterolo. Questo meccanismo d’azione consente di agire sulla quantità di colesterolo prodotto, intervenendo a monte rispetto al sito d’azione delle statine, e di stimolare l’espressione dei recettori LDL per compensare la ridotta sintesi. A differenza delle statine, l’acido bempedoico non è attivo nel muscolo scheletrico, e ciò diminuisce la possibilità di avere gli eventi indesiderati tipici delle statine. Anche questo farmaco può essere associato ad ezetimibe con effetti favorevoli.
Per combattere la patologia occorre affiancare il farmaco a uno stile di vita sano e corretto: dieta mediterranea, a basso contenuto di grassi (fatta eccezione per gli Omega-3, Omega-6 e Omega-9 che aiutano il cuore) e una regolare attività fisica, almeno 30 minuti al giorno o quattro fermate di autobus a piedi (5 km a passo spedito) o 4500 falcate al contapassi.